L’idea magari ti è venuta una sera, mentre stavi guardando la TV. Oppure quella volta che hai sentito il racconto di un pellegrino in radio. O magari è una cosa che hai sempre sentito vicina, ma non hai ancora preso la decisione di partire.
Fare un pellegrinaggio è molto di più di un viaggio, è un bisogno intrinseco dell’uomo.
Chi fa un pellegrinaggio si purifica e così il cammino terreno diventa sinonimo del cammino spirituale. Non a caso viene chiamato anche “cammino di perfezione”. Fare un cammino significa ammettere a sé stessi di essere alla ricerca di qualcosa che non si conosce.
Abbiamo chiesto a Orietta, consulente di riferimento per i viaggi religiosi in Evolution Travel, quali siano le motivazioni principali che spingono ogni anno così tanti fedeli a fare un pellegrinaggio.
Abbandonare le paure
Sono per tutti anni di grande incertezza ed è proprio in questo clima che il nostro senso di impotenza si è ampliato a dismisura, lasciando molti di noi inermi di fronte a ciò che accade. Dalla pandemia alla guerra, da una malattia ad una difficoltà economica: tutte le paure possono essere mitigate dalle risposte della fede.
“Un’esperienza spirituale vera è una delle spinte più forti per riuscire a rassicurarsi e abbandonare le paure”.
Chiedere una grazia, espiare una colpa, ma soprattutto ritrovare il proprio centro
Chi va in pellegrinaggio spesso lo fa per chiedere la grazia, espiare una colpa, rendere omaggio ad un Santo protettore, ma anche semplicemente per ritrovare il proprio centro.
“Fare un viaggio di tipo religioso vuol dire, per molti, ritrovare la propria centralità che a volte può sfuggire nella quotidianità. È qualcosa di così profondo che al rientro non si riesce a raccontare”.
Spesso infatti chi parte per un pellegrinaggio lo fa per ricercare una serenità, per stare bene con sé stesso e riequilibrarsi con il mondo. Il pellegrinaggio rappresenta un percorso personale con l’obiettivo di tornare moralmente migliore.
Una sorta di percorso esteriore, spesso compiuto a piedi, per crescere interiormente in maniera profonda.
Andare oltre alla destinazione
Lourdes, Fatima, Medjugorje, San Giovanni Rotondo, Loreto, Sant’Antonio, Gerusalemme, Roma, Santiago di Compostela e Canterbury sono solo alcune delle mete classiche del pellegrinaggio cristiano.
Oltre alle motivazioni religiose che spingono i pellegrini a viaggiare, si aggiunge spesso anche un desiderio di conoscere il mondo sotto un’altra ottica. Allontanarsi dalla routine quotidiana, spesso costellata di ansie e di meschinità, per addentrarsi in una dimensione più alta fatta di luoghi, ma soprattutto di persone e di spirito.
“Non è come un viaggio turistico nel quale al ritorno puoi raccontare cos’hai visto o com’era l’hotel, raccontare un pellegrinaggio è qualcosa di così intimo che significa raccontare sé stessi”.
Condividere con altri qualcosa di profondo
Il potere indiscusso del pellegrinaggio è quello di abbattere ogni barriera sociale. Durante il pellegrinaggio infatti si respira sempre un’aria di fratellanza e comunità che ci avvicina agli altri e ci rende parte di un qualcosa di più grande.
È praticamente impossibile fare un pellegrinaggio da soli perché “nella maggior parte dei casi, lo si fa in famiglia o in gruppo e, anche se si è da soli, in poco si entra a far parte di una comunità che ci fa sentire parte di qualcosa di più grande”.
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Il tuo personale motivo.
Ci sono persone che tornano ogni anno a Medjugorje, Orietta stessa ci è stata 14 volte e le motivazioni spesso non si possono spiegare.
Ognuno ha il suo motivo. Se senti di voler fare un pellegrinaggio, questo potrebbe essere il momento giusto per partire.